Il mondo del lavoro a vantaggio delle donne
Le cose stanno per cambiare: in futuro, infatti, saremo sempre più imprenditori. Parola di Arun Sundararajan, professore alla Stern School of Business della New York University, uno fra i più importanti studiosi della sharing economy. Nel suo saggio, in uscita a maggio e intitolato “The sharing economy: the end of employment and the rise of crowd-based capitalism”spiega come, grazie alla rete, i dipendenti si avviano a essere una specie in via di estinzione. La ragione? Il modello centralizzato sulle aziende sta lasciando il posto a uno costruito attorno all’individuo che gestisce in maniera autonoma il proprio tempo e le proprie risorse. Ma le radici della riorganizzazione economica a cui stiamo assistendo non affondano unicamente nella diffusione della tecnologia. “In questi anni ha cominciato a emergere un nuovo fenomeno che io chiamo “digital trust”. In pratica, una certa quantità aggregata di fiducia nei confronti delle altre persone ha iniziato a cambiare la percezione della gente tanto da influenzare la natura del business”, precisa il professore.
Da questo fenomeno derivano due novità. La prima è che stanno evolvendo le regole del lavoro: ne è una prova l’acceso dibattito in corso negli Stati Uniti, dove i nuovi “format” professionali – di Uber o Airbnb, per esempio – faticano a trovare una collocazione nella normativa tradizionale, orientata fra le polarità di lavoro dipendente e autonomo. Anche a livello individuale, la possibilità di scegliere quando e dove lavorare come imprenditori di se stessi rappresenta una rivoluzione della formula del 9-to-5. Dall’altra parte, anche la natura del business è in piena trasformazione. “Siamo solo all’inizio, ma il modo in cui la sharing economy conduce le attività economiche evidenzia come stiamo prendendo le distanze dalle grandi corporation. Le piattaforme digitali che offrono il contributo individuale, infatti, sono i nuovi aggregatori della domanda di beni e servizi in ogni settore”. In numeri danno ragione alla teoria: in base ai dati 2015, la sharing economy ha generato un volume d’affari da 17 miliardi di dollari, in settori diversi come la finanza (LendingClub, Prosper, TransferWise e Founding Circle), il trasporto (Uber, Ola, Lyft e la cinese Kuaidi Dache), l’ospitalità (Airbnb, HomeAway e WeWork), i prodotti (eBay e Etsy) e i servizi (Chegg, Instacart, Freelancer).
La metà di queste aziende – e questo è il dato più rilevante – sono diventate business miliardari in meno di quattro anni.Ma c’è dell’altro, perché l’evoluzione del modello economico determinato dalla digitalizzazione e dalla diffusione di una cultura della fiducia sta facendo quello che le leggi e i regolamenti non sono finora riusciti a compiere: colmare il gap dell’ineguaglianza fra i sessi. “I gruppi sottorappresentati nel mondo delle aziende e delle multinazionali saranno i principali beneficiari dell’economia collaborativa, perché un sistema che si basa sulla reputazione del fornitore abbatte automaticamente le barriere strutturali che determinano l’ineguaglianza”, profetizza Sundararajan. Le donne, in particolare, sono quelle che incasseranno meritati dividendi, perché naturalmente portate a costruire rapporti basati sulla fiducia.
I primi segni di questa inversione di rotta si vedono già. In un settore dominato dagli uomini come quello della tecnologia, le donne cavalcano l’onda. “Le donne che ospitano su Airbnb ottengono migliori valutazioni e più richieste rispetto agli uomini che mettono a disposizione le loro abitazioni”, commenta l’economista. Ma le donne sono anche il gruppo dominante del sito di noleggio di abiti Rent the Runway, che conta oltre cinque milioni di clienti nell’interessante target degli Under 35 anni e nel marketplace creativo Etsy l’86% delle imprenditrici è rosa. Le ultime ricerche confermano il trend: storicamente gli uomini rastrellano più finanziamenti delle donne, in un rapporto da 12:1, ma sui siti di crowfounding sono le donne ad avere più successo, anche in settori tradizionalmente presidiati dagli uomini.
Lo certifica uno studio congiunto della New York University e della Wharton Business School: il 65% delle techno start-up guidate da donne raggiunge i propri obiettivi di finanziamento, contro il 30% di quelle rappresentate dagli uomini. E ancora, complessivamente, il 37% delle idee delle donne trova un supporto finanziario online, rispetto al 32% degli uomini. “Quello a cui stiamo assistendo è solo l’inizio: sempre di più, infatti, cresceranno il livello dell’imprenditorialità e della creatività, per questo dovremmo iniziare a ripensare anche al senso e al contenuto della formazione”, conclude il professore.